Adinolfi: «Nicola Zingaretti ha la terza media e se ne vergogna un po’», ma il titolo è un altro
Nicola Zingaretti viene eletto segretario del Partito Democratico e partono le prime frecciatine al vetriolo. Secondo Mario Adinolfi, il Presidente della Regione Lazio avrebbe solo la terza media «e se ne vergogna un po’». Nicola Zingaretti, già Presidente della Regione Lazio, è diventato il nuovo segretario del Partito Democratico dopo il voto delle primarie del 3 marzo 2019 con oltre il 66% dei voti (secondo il suo ufficio elettorale). Di fronte a questa notizia, il 4 marzo 2019 il Presidente nazionale del Popolo della Famiglia Mario Adinolfipubblica un tweet al vetriolo contro il neo segretario sostenendo che abbia nascosto spudoratamente il suo titolo di studio ai giornalisti: «Nicola Zingaretti ha la terza media e se ne vergogna un po’, infatti in tutte le elogiative notine biografiche inviate ai giornali evita di citare il proprio titolo di studio.
Lazio, Zingaretti imbarca due ex assessori di Alemanno e Polverini: adesso c’è la maggioranza.
Enrico Cavallari e Giuseppe Cangemi, esponenti del gruppo misto alla Pisana, rispettivamente fuoriusciti dalla Lega e da Forza Italia, sono stati gli unici a sottoscrivere un’intesa programmatica di 10 punti proposta di “assunzione di responsabilità” lanciata dal Pd. Firma che di fatto ne certifica l’ingresso in maggioranza, portando i seggi da 24 a 26 su 51. Affrancarsi dal Movimento 5 Stelle allargando la maggioranza a due consiglieri di destra (neanche tanto moderata). E a chi importa se si tratta di due ex assessori di spicco delle giunte di Gianni Alemanno e Renata Polverini: “tutto fa brodo”, come dicono ormai frequentemente dalle parti di via Rosa Raimondi Garibaldi.
PD: dal cugino di Gentiloni ai giovani dem: gli uomini di Zingaretti per scalare il partito. Con stipendio della Regione Lazio
Per l'aspirante segretario la rielezione a governatore è stata fondamentale perché gli ha consentito di sistemare negli uffici della giunta regionale – e quindi di dargli una paga - colonnelli e tenenti decisivi per la sua corsa al Nazareno. Così, a completare gli staff degli assessorati sono finiti politici piuttosto noti in città, giovani “promesse” ed ex presidenti di Municipio, che hanno bucato le ultime tornate elettorali.
Mafia capitale, Zingaretti denuncia Buzzi. Ma al processo non risponde ai giudici
Ventiquattro ore dopo i 39 "non ricordo" pronunciati Micaela Campana che sono valse alla deputata Pd l'iscrizione nel registro degli indagati per falsa testimonianza, anche il presidente della Regione Lazio sceglie il silenzio: indagato in un procedimento connesso per corruzione e turbativa d’asta, accuse per le quali i pm hanno chiesto l'archiviazione, il governatore si è avvalso della facoltà di non rispondere. Decisione legittima dal punto di vista procedurale, meno sotto il profilo politico. Appena 24 ore dopo i 39 “non ricordo” pronunciati Micaela Campana che resteranno nella storia di Mafia Capitale, Nicola Zingaretti sceglie il silenzio.
Guardare Sanremo mi è servito a capire la sinistra
Essere di sinistra significa illudersi che su certi temi ci sia un consenso universale e puntualmente scoprire di essere in minoranza. Tipo Diodato/Roy Paci tu pensi che vincano e arrivano ottavi. L’amara scoperta della minoranza diventa via via però consapevolezza, e a un certo punto persino accettazione e poi compiacimento. Fino al grado zero della minoranza: uno solo. Ma lì scatta l’accusa di tafazzismo. Forse non molti ricordano che Tafazzi non è solo colui che si dà da solo le bottigliate sui testicoli ma, dentro uno schema di comicità a tempi progressivamente ridotti, rappresenta di questa il momento archetipico, basico: dallo sketch ai pochi secondi di un Totò Merumeni che si flagella i cosiddetti.
PD, ora lo dice anche il presidente Orfini: “Cambiare nome non basta, il partito non funziona. Sciogliamolo e rifondiamolo”. Video esilarante!
“Stracciamo lo statuto del Pd, sciogliamolo e rifondiamolo“. Parola del presidente del Pd, Matteo Orfini. Alla sesta edizione della festa di Left Wing Orfini ha parlato in streaming ma usando parole che più chiare non potevano essere. “Non serve cambiare nome. Mettiamo insieme un pezzo di paese che non condivide le politiche di questo governo: dobbiamo costruire una risposta dopo la sconfitta che sia all’altezza della sfida. Il partito com’è oggi non funziona. Mi rivolgo a tutti, basta questa distinzione con la società civile, decidiamo insieme la linea politica e la leadership”.
Albertone, il comico odiato dalla sinistra chic
Il 24 febbraio 2003 veniva a mancare una delle figure più significative del grande schermo internazionale, Alberto Sordi. È stato per anni il ‘campione’ del cinema anti ideologico e ha saputo descrivere con realismo, vizi e virtù degli italiani con una capacità di leggere l’attualità che rende ancora attualissime la larga parte delle sue pellicole: dagli abusi e gli scandali nel settore sanitario o edilizio, dal moralismo di facciata declinato in ogni sua forma alla decadenza del sistema sociale fino alle storture e alle aberrazioni del nostro sistema giudiziario, Sordi è stato non solo un talento, ma un maestro straordinario. Il mostro sacro del cinema italiano, amato da tutti trasversalmente, conosciuto e stimato nel mondo, esempio positivo di artista, è fuori dal sistema dell’intellighenzia di sinistra che vorrebbe buttare tutto in politica con tesi precostituite. Adorato dal pubblico è difficilmente aggredibile anche dalla critica. Eppure gli è stato negato l’Oscar.
Quando il balilla Sordi andò dal Duce
«Mi faceva ridere: per me era un grande comico» rievoca Albertone, che già a 13 anni batteva la provincia organizzando «patriottici spettacolini di varietà». Alberto Sordi è uno del rari attori che non abbiano messo il «cuore in piazza» per la delizia del rotocalchi, né sventolato le proprie lenzuola sentimentali a beneficio del paparazzi. Ha perfino resistito alla sirena letteraria, che ha invece sedotto Vittorio Gassman («Un grande avvenire dietro le spalle») e Nino Manfredi («Viva gli sposi»). Carmelo Bene ci ha addirittura turbati con un miracolo, confessando in un libretto di memorie di «essere apparso alla Madonna». La cortina fumogena che Sordi alza intorno ai suoi itinerari romantici è cosi fitta, che i cronisti mondani sono talvolta costretti a trasformarsi in detective. Ma anche quando lo prendono in castagna, Sordi ha la fuga facile. Un inverno di qualche anno fa, sorpreso in compagnia di una straniera nella hall di un albergo veneziano, se ne uscì con questa battuta: «Ma guarda un po' cosa si deve fare per lanciare un film che non è ancora cominciato».
Vasco Rossi suona a Roma. «La sinistra mi odia perché non ho mai voluto cantare Bandiera Rossa»
Prima tappa oggi all’Olimpico del tour di Vasco Rossi “Live Kom 014″. Il grande Blasco, 62 anni compiuti e a un mese dalla nascita del primo nipotino, torna sul palco per una maratona degli stadi da Guinness dei primati: sette concerti, tre nella capitale e quattro a Milano, 400 mila spettatori, a distanza di 24 anni dalla sua prima volta a San Siro, il 10 luglio 1990. Verace, guascone, matto da legare, Vasco Rossi non ha paura di esporsi. Così nell’intervista a Vanity Fair oggi in edicola, tirato per la giacca, si diverte a simulare un ipotetico programma politico. Più di 3 milioni e 800 mila fan su Facebook e oltre 518 mila su Twitter, insomma, avrebbe i numeri per fondare un movimento…
Ramelli, il Duce e D’Annunzio fanno capolino nell’autobiografia di Enrico Ruggeri
E’ un’autobiografia, un racconto che attraversa anche i tormentati anni Settanta, dove si restituisce il clima di ostracismo che pesava su un’area non irreggimentata e non succube di “ideologie alla moda”, come cantava Lucio Battisti. Parliamo del libro del cantautore Enrico Ruggeri, Sono stato più cattivo (Mondadori), il racconto di una carriera musicale raggiunta camminando sempre controvento. Un passaggio faticoso, scrivere di sé. Ruggeri lo ha sperimentato: “Mettere per iscritto la mia vita è stato un percorso molto duro, con momenti di autentico dolore. Però mi ha fatto bene“. L’infanzia certo ha il suo peso, perché fornisce l’impronta incancellabile. E poi i genitori, il distacco, la memoria. Le zie dannunziane che lo portavano alla pensione “Primo Vere” di Pescara. Infine il successo e “le tante facce della vittoria”. E la consapevolezza che si deve continuare ad andare avanti “spinto dalla curiosità e dal rumore dei nemici”.
Da Battisti agli 883, quanto è dura cantare fuori dal coro sinistro
Per Marx, l’ideologia era una cosa seria. Per Gramsci lo era l’egemonia. Ecco, prendete queste due serietà (colonne del pensiero moderno) e mettetele nel frullatore. State tranquilli che se a fare il cocktail è la sinistra italiana, il risultato è una brodaglia o troppo dolce o troppo amara, ma sicuramente non commestibile. Lo dimostra il rapporto - a tratti comico - di quella che è comunemente riconosciuta come «intellighenzia» con il mondo della musica. Un teatrino costellato da conflittualità, marce indietro, innamoramenti brucianti o tardivi, contraddizioni e pregiudizi. Insomma, per dirla con Giacomo (non Leopardi, ma il compare di Aldo e Giovanni nel comico trio), «niente di serio». Ma, a pensarla come Ennio Flaiano, può essere comunque grave. Ne seppe qualcosa Lucio Battisti.
ENRICO RUGGERI: “Quando il rock era considerato fascista e la sinistra era omofoba”
Il rock in Italia, negli anni 70, quando dominava la sinistra, quella definita extraparlamentare, non era visto bene per niente. Era “espressione del capitalismo yankee” si diceva e così capitava che un Fabio Treves (il noto e miglior armonicista blues italiano) che suonava il blues, cioè la musica degli emarginati e dei poveri, venisse cacciato dal palco dell’università Statale di Milano perché “filo americanista”. La confusione e l’ideologia erano tante. Chissà quanto, quei giovani di Lotta Continua e paraggi, si sarebbero divertiti invece che a sentire musica americana a raccogliere il riso nelle risaie di Mao Tze tung, allora loro idolo. Lo racconta anche Enrico Ruggeri in una intervista rilasciata a Vanity Fair in occasione dell’uscita del suo nuovo disco “Alma”. Erano tempi quelli, in cui David Bowie e Lou Reed erano definiti filo nazisti perché indossavano giubbotti e cappotti di pelle nera e tenevano i capelli cortissimi tinti di biondo: non c’era dubbio, con quel look non potevano che essere dei nazistoidi.
Una sciagura chiamata Romano: dall'Iri all'euro, la cronistoria di 30 anni di guai dell'uomo che fu due volte premier
Prodi è ricordato per il folle cambio della lira e per le super tasse. «Nel suo discorso al consiglio nazionale della Dc, il senatore Fanfani ha citato l’Aida (“Se il mio sogno si avverasse”) e ha auspicato l’arrivo di un esercito di prodi. Un cronista distratto ha completato il concetto: “Un esercito di Prodi e di Andreatta”». Correva l’anno 1981, e a teorizzare che l’impegno politico di Romano Prodi non si sarebbe rivelato un toccasana per il Paese era un certo Giulio Andreotti. Che, avendo avuto il professore reggiano come ministro dell’Industria tre anni prima, forse un minimo di cognizione di causa ce l’aveva. Il guaio è che nessuno gli diede retta. Un anno dopo, Spadolini nominerà Prodi alla presidenza dell’Iri, dove rimarrà per dodici anni, gestendo tra l’altro (con risultati non esattamente spettacolari) il maxi-pacchetto di privatizzazioni dei primi anni ’90. Dimessosi dall’Iri a metà del ’94, il Professore è pronto per la discesa in campo («Adesso ho mente e animo liberi. Un impegno in politica diventa un dovere, vista la situazione»).
La studentessa a Prodi: "Ha svenduto l'Italia, riconosca errori". La replica del prof
"Faccio parte di quella che oggi viene definita Generazione Erasmus", ma in realtà si tratta della "generazione dei disoccupati e dei lavoratori poveri. Lei, da presidente dell'IRI, ha svenduto il patrimonio economico italiano a società private e ha partecipato in prima persona alla nascita dell'euro, prima come presidente del Consiglio e poi come presidente della Commissione Europea. Non si è battuto per cambiare i criteri scellerati del trattato di Maastricht, nei quali l'Italia non rientrava. E sotto il suo governo fu firmato il pacchetto Treu che diede inizio alla precarietà italiana". E' il pesantissimo j'accuse rivolto da una studentessa all'indirizzo di Romano Prodi, ospite giovedì scorso di un incontro organizzato dalla rete Rethinking Economics Italia presso l'Università di Bologna.
Scandalo affidi, Bibbiano: giunta Pd assume avvocati contro chi protesta
Scandalo Angeli e Demoni: la Giunta comunale Pd di Bibbiano, orfana del sindaco Carletti agli arresti domiciliari e sospeso dal Prefetto, assume avvocati non per difendere i bambini strappati alle famiglie di origine, ma per tutelare il “buon nome” del paese, storicamente considerato come la culla del Parmigiano Reggiano “e patria di artisti e cantanti”. Può apparire surreale, ma la tutela del buon nome di Bibbiano non è rivolta contro chi lo ha infangato con le proprie azioni contro i bambini, bensì contro media, TV e politici che criticano e puntano il dito sull’amministrazione della ridente cittadina della Val d’Enza, dove del resto hanno sede i servizi sociali epicentro di Angeli e Demoni e quel progetto La casa strutturato per bambini tolti alle famiglie e dati in affidi che le indagini e la procura ritengono irregolari; mentre il municipio sarebbe il luogo principale delle irregolarità amministrative (“copertura politica”: così la definiscono gli inquirenti) che hanno portato all’arresto del sindaco Carletti, ora sospeso dal prefetto.
Eravamo comunisti, in guerra col terrorismo
Gli anni Settanta a Torino, le Brigate rosse e il Pci, il diritto alla delazione, la collaborazione con i magistrati e la polizia. Giuliano Ferrara spiega in un’intervista perché l’equazione di Salvini brigatisti-comunisti è “biada per ignoranti”. “Fu un’operazione borderline. Fu una battaglia in deroga alla democrazia. Anzi era una guerra, fatta con i mezzi della politica, ma era una guerra civile, senza regole, senza le divise, asimmetrica, come i jihadisti di oggi, la peggiore”. Nel 1979 Giuliano Ferrara scrive su Repubblica un commento – “Diritto alla delazione” – che per la prima volta rende pubblici il collateralismo, la commistione di ruoli, la grande alleanza tra Dc e Pci nella lotta al terrorismo rosso.
Barbara Balzerani, scrittrice e brigatista non pentita
Aldo; Antonio; Domenico; Ezio; Francesco; Girolamo; Giulio; Giuseppe; Lando; Michele; Oreste; Raffaele; Roberto; Rocco. Sono i nomi di battesimo di alcune delle vittime dirette o indirette di Barbara Balzerani, membro delle Brigate Rosse dal 1975, arrestata il 19 giugno 1985, condannata a sei ergastoli e messa in libertà dopo 21 anni di carcere, nel 2011. Compagna luna; Perché io, perché non tu; Cronaca di un’attesa; Lascia che il mare entri. Sono i titoli dei libri di Barbara Balzerani pubblicati da DeriveApprodi. Libri di poche pagine, ma non per questo di contenuto leggero o inane. È difficile recensire Barbara Balzerani. Perché la prima domanda che ci si deve porre è: chi è Barbara Balzerani? Semplicemente una scrittrice, come alcuni giornalisti disinformati credono? Un’assassina, come sostengono i familiari delle sue vittime? Balzerani è una brigatista rossa che ha ucciso più volte. Una donna “che racconta storie attraverso parole scritte”, come lei si è definita. Una terrorista che non si è né pentita né dissociata dalla lotta armata.
Battisti, altri 12 latitanti chiesti alla Francia, Parigi resiste. Salvini: «Li convinceremo»
Ventisette in tutto, dei quali 12 solo in Francia. È questo il dato ufficiale che arriva dal Dipartimento di Pubblica sicurezza. Ne sono scappati a centinaia tra terroristi neri e rossi, negli anni di piombo, una cinquantina sono rimasti nella lista dei ricercati per moltissimi anni. Alcuni hanno scelto i paesi del centro e sud americani, Brasile, Nicaragua e Perù. Altri il Giappone e la Gran Bretagna. Ora, dopo la cattura di Cesare Battisti, il numero di chi ancora avrebbe da scontare anni di carcere si è dimezzato. E su di loro le intenzioni del Governo sembrano chiare: «Riportarne indietro quanti più possibile». Ma tra il dire e il fare ci sono le varie condizioni imposte dagli stati che li ospitano. Molti hanno la cittadinanza, alcuni sono diventati imprenditori di un certo rilievo, e difficilmente verranno ceduti all'Italia.
Beppe Grillo: "Sfiduciate tutti Zingaretti o non avrò più fiducia"
"Sfiduciate compatti! Mi associo alle parole di Luigi di Maio: 'Mi aspetto che tutti votino la sfiducia al presidente Zingaretti in Regione Lazio". Con un post su Facebook Beppe Grillo esorta il MoVimento a votare compatto in Regione Lazio per creare una crisi.
Lino Banfi, grillino io? Ma quando mai: votavo Msi e oggi sto con il centrodestra
«Grillino io? Ma non scherziamo»… Lino Banfi non ci tiene proprio a passare per un simpatizzante del M5S, anche perché, nonostante la nomina ad ambasciatore dell’Unesco per l’Italia voluta da Luigi Di Maio , è da sempre uomo di centrodestra: e lo ribadisce, ancora una volta, in un’intervista a cuore aperto rilasciata a Il Fatto Quotidiano in cui, a scanso di equivoci e in nome di un’appartenenza culturale e politica a un mondo che non è certo quello pentastellato, conferma il suo passato da elettore del Movimento Sociale Italiano, rinnovando tra le righe della chiacchierata giornalistica la sua intramontabile stima per Giorgio Almirante.
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