LIBERATE PINO LO PORTO, ITALIANO INNOCENTE
L’assurda vicenda di un cittadino italiano Giuseppe Lo Porto, 86 anni, finito negli ingranaggi di un meccanismo giuridico infernale, estradato in due settimane negli Stati Uniti, dopo il suo arresto, eseguito il 7 maggio 2012 dai carabinieri di Pieve di Cadore, in esecuzione di un decreto di estradizione mai notificato. Il giorno precedente, Lo Porto, da cittadino italiano, aveva persino votato per le elezioni comunali di San Vito di Cadore. Oggi è in un carcere dell’Alabama e sconta da innocente tre ergastoli. Vittima di un processo ingiusto e di malagiustizia. Un caso isolato? No. In Italia la media di vittime di ingiusta detenzione è 1003, come testimoniano i dati presentati dall’Unione delle Camere Penali a Padova in occasione dell’anno giudiziario aperto con un convegno dedicato proprio all’errore giudiziario. Solo in Veneto sono 22 i casi registrati di ingiusta detenzione nel 2018.
Oltre il ragionevole dubbio... Il caso FORTI
Questa é la storia di Enrico (Chico) Forti di Trento rinchiuso in carcere a vita negli Stati Uniti, per un delitto consumato a Miami. Questo dossier è stato realizzato da un gruppo di lavoro, analizzando i report originali del processo con le valutazioni di esperti fra cui i nuovi avvocati americani che hanno operato per la ricostruzione oggettiva dei fatti contestandone le fasi salienti del processo per il quale è stata richiesta la revisione. Ventotto mesi sono stati impiegati dal pubblico ministero Reid Rubin per sviluppare la sua istruttoria, dal 15 febbraio 1998 al 25 maggio 2000, data d’inizio del processo. Un record di lentezza inusuale per la giustizia americana. Un ingente impiego di tempo e denaro per sviluppare e imbastire una teoria accusatoria basata solamente su indizi e prove circostanziali discutibili o addirittura inesistenti. Enrico (Chico) Forti, l'italiano che, tre mesi prima di essere arrestato per truffa, ha messo in dubbio la versione ufficiale del caso di Gianni Versace e del suicidio di Andrew Cunanan con uno speciale TV trasmesso in Europa. Chico Forti prosciolto dall'accusa di truffa ai danni del proprietario dell'hotel Pike di Ibiza è stato successivamente processato e condannato per assassinio.
"Non si afferma di non avere visto qualcuno che invece si è visto, se non perché si ha la coscienza che quell'uomo non sarà mai più visto da nessun altro". (!) "Lo Stato non deve provare che egli sia l'assassino al fine di dimostrare che sia lui il colpevole…". (!) (Dalla requisitoria del pubblico ministero all'esito del processo contro Enrico Forti per l'omicidio di Dale Pike.). “La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l'istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest'uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all'ergastolo senza condizionale!”. (!) Frase citata dalla giudice Victoria Platzer in chiusura del processo a Enrico Forti.
Chico Forti, carcere a vita per un italiano negli States
Negli Stati Uniti un italiano di successo è rinchiuso tra efferati criminali. Chico Forti condannato all’ergastolo per una “sensazione”. Era un campione di surf, tredici anni fa la sentenza di concorso in omicidio senza condizionale, ma soprattutto senza un movente. Per la Corte è un assassino. Ma c’è chi combatte con lui per far luce sulla verità. Lo zio ricostruisce la vicenda, per la criminologa Roberta Bruzzone: «È innocente». Il giudice entra in aula per leggere la sentenza. L’imputato osserva la Corte. E’ accusato di omicidio. Il giudice respira e inizia a scandire le parole. L’imputato ascolta intimorito. «La Corte non ha le prove che lei abbia premuto materialmente il grilletto, - dice il giudice - ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale».
Chico Forti, un caso giudiziario tra Italia e America
In carcere in Florida dal 2000, l'imprenditore di origini trentine sta scontando una condanna all'ergastolo per omicidio. Ma ora un principe del foro di New York, l’avvocato Joseph Tacopina, convinto della sua innocenza, ha ripreso in mano il caso. Tante le zone d'ombra, le domande senza risposta e i particolari che non tornano. E c'è anche un filone che si intreccia con il delitto Versace. È la storia di un italiano, un ex-campione sportivo e un imprenditore, condannato negli Usa all’ergastolo, nel 2000, per omicidio. Se ne sono occupati in molti: giornalisti, personalità dello spettacolo, alcuni politici e magistrati, i tanti amici sparsi per il mondo – riuniti nel comitato Chance per Chico – e da ultimo le “leonesse”, donne che sostengono a spada tratta l’innocenza di Enrico “Chico” Forti, questo il nome del protagonista. Ma l'esito resta immutato: il condannato da 14 anni sconta la sua durissima pena in un carcere della Florida.
Chico Forti, detenuto a Miami: "Da 16 anni in carcere innocente per una inchiesta su Versace"
Chico Forti è in carcere a Miami da quasi 16 anni con l’accusa di omicidio. Ma si dice innocente. Secondo l’accusa nel 1998 avrebbe ucciso Dale Pike, figlio di Anthony Pike (dal quale stava acquistando il «Pikes Hotel» a Ibiza), e per questo è stato condannato all’ergastolo. Dietro a questa clamorosa e drammatica vicenda, però, potrebbe esserci anche l’ombra dell’omicidio Versace: Chico, pochi mesi prima dell’arresto, aveva girato un documentario-inchiesta (Il sorriso della Medusa) all’interno della casa galleggiante in cui viveva e in cui si sarebbe suicidato Andrew Cunanan, il presunto killer dello stilista italiano. E aveva messo in dubbio le conclusioni della polizia di Miami dando inizio così, secondo molti, ai suoi guai. Ora Chico, rinchiuso al «Dade Correctional Institution», lotta tutti i giorni per dimostrare la verità, per tornare un uomo libero. E dalla prigione, per la prima volta, racconta e si racconta. Come vive, cosa pensa, cosa sogna, quanto soffre, perché è in quell’inferno. Il telefono squilla alle 23.54 italiane, la voce è calda e pacata. Mette i brividi. Emoziona.
Enrico, Manolo e tutti gli altri Ecco chi sono gli italiani detenuti all’estero
Sono 3.422 gli italiani detenuti all’estero. Da Enrico «Chico» Forti, detenuto negli Stati Uniti a Manolo Pieroni, in carcere in Colombia, ecco le storie di alcuni di loro. Enrico «Chico» Forti, in carcere negli Stati Uniti. Enrico «Chico» Forti, originario di Trento, classe 1959, sta scontando l’ergastolo negli Stati Uniti con l’accusa di omicidio. La sua storia è iniziata il 16 febbraio del 1998 quando, in una spiaggia della Florida, viene ritrovato il corpo senza vita di Dale Pike. Di questo omicidio è stato accusato Forti, un produttore televisivo, che all’epoca era in trattativa con il padre di Dale per l’acquisto di un albergo. Dall’11 ottobre del 1999 Enrico Forti, che si è sempre dichiarato innocente, è rinchiuso in una cella del carcere di Miami. Il processo lo ha condannato nonostante le prove a suo carico siano quantomeno inconsistenti.
Caos Csm, esplode il caso Lotti. Ecco come Zingaretti liquidava la questione
Il segretario del Partito Democratico non chiede le dimissioni di Luca Lotti e Cosimo Ferri. Il partito si divide sul tema e lui ribadisce: «No al tritacarne giudiziario». Poco più di una settimana fa il segretario del Pd Nicola Zingaretti liquidava così il caso Csm, che toccava due uomini del Partito Democratico: Cosimo Ferri (ex sottosegretario alla Giustizia del governo Letta, ora deputato) e Luca Lotti (ex ministro del governo Renzi, ora deputato): «Al momento non ci sono indagati, bisogna chiarire al più presto le responsabilità». Zingaretti stava entrando a Montecitorio per ascoltare la relazione annuale dell’Anac e poche ore prima, scrivevano numerosi quotidiani, aveva avuto un incontro con Luca Lotti al Nazareno, la sede del Pd.
Lotti-Csm, l’immobilismo di Zingaretti spacca il Pd. Calenda: “Vicenda inaccettabile, il partito lo dica”
Il segretario: “No a processo sommari”. Ma anche Zanda va in pressing: “L’ex ministro valuti se lasciare”. Si dimette il quarto consigliere: “Ma io dormivo”. Al suo posto va una togata della corrente di Davigo. Anzaldi: "Da eletto Pd Calenda polemizza ogni giorno con un collega di partito diverso". Prima il silenzio e l’imbarazzo. Poi, in queste ultime ore, qualcuno che inizia a far sentire la sua voce di dissenso. Ma di fatto nel Partito democratico nessuno, e men che meno il segretario democratico Nicola Zingaretti, ha deciso di prendere provvedimenti davanti al caso Lotti-Csm. I primi a dare segni di cedimenti di fronte alla non reazione della dirigenza hanno deciso di venire allo scoperto solo oggi. Anche se “Io non giudico nessuno”, ha detto Luigi Zanda, senatore e tesoriere del partito, al Corriere della Sera, “ma Luca Lotti ora valuti attentamente se è il caso di lasciare il Pd finché non sarà chiarita la sua posizione”.
Reggio Calabria, colpita la cosca Libri: 17 arresti. Anche capigruppo in Regione di Pd e Fdi: “Voti in cambio di appalti e altri benefici”
C’è più di un politico tra i 17 arresti eseguiti questa notte a Reggio Calabria, dove la Direzione distrettuale antimafia ha colpito la cosca Libri. Fino alla conferenza stampa che si terrà in mattinata per illustrare i dettagli dell’operazione “Libro Nero”, la Procura tiene la massima riservatezza. Sappiamo già però che tra i politici arrestati ci sono il capogruppo in Consiglio regionale di Fratelli d’Italia Alessandro Nicolò, finito in carcere (a sinistra nella foto), e il capogruppo del Partito democratico Sebi Romeo, ai domiciliari (a destra nella foto). Tra gli indagati con gravi indizi di colpevolezza, ma a piede libero, c’è l’ex assessore regionale Demetrio Naccari Carlizzi, accusato di concorso esterno con la ‘ndrangheta, anche lui del Partito democratico e cognato dell’attuale sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà.
Carabiniere ucciso, polemica sulla foto del giovane americano bendato in caserma. Il pg: «Interrogatori regolari»
Il procuratore generale di Roma Giovanni Salvi: «Gli indagati sono stati presentati all'interrogatorio liberi nella persona, senza bende o manette». Sarà trasferito il carabiniere che ha legato e bendato Gabriel Christian Natale Hjorth, uno dei due cittadini americani fermati per l'omicidio. L'episodio è venuto alla luce quando è arrivata ai media una foto, scattata il 26 luglio nel Reparto investigativo dei carabinieri di via In Selci a Roma, in cui si può riconoscere il giovane ammanettato e bendato. Sulla vicenda la Procura di Roma aprirà un fascicolo d'inchiesta e l'Arma ha avviato una indagine interna. «Quanto è successo è molto grave, abbiamo subito avviato inchiesta interna per individuare i responsabili e sanzionare i responsabili, informandone l’autorità giudiziaria per ogni valutazione sugli eventuali aspetti penali», ha detto il comandante generale dell'Arma dei carabinieri, il generale Giovanni Nistri.
POLIZIOTTO MASSACRATO DA IMMIGRATO – FOTO CHOC
Sulla notizia dello spacciatore marocchino che ha colpito e spaccato la testa a un agente di polizia a Viareggio: Il giudice per le indagini preliminari di Lucca ha confermato il fermo per tentato omicidio e il clandestino rimarrà dietro le sbarre. Sono state diffuse le foto dell’agente, Aniello Fierro, 28 anni, ferito. Originiario di Sapri (Salerno), Aniello è pronto a tornare in strada nonostante le ferite subite. È il suo lavoro, quello di tutti i poliziotti. “Ricordo perfettamente tutto – ha spiegato sempre al Tirreno, parlando di quella maledetta sera – sul momento non sentivo il dolore ma mi sono reso conto che avevo un buco in testa. Il collega che era con me nel servizio mi ha passato un guanto per cercare di tamponare il sangue che mi scendeva sul viso e sugli occhi. Ma quello non bastava e allora ho preso il portaplacca, e anche aperto quasi non bastava”.
Gli Americani non sono affatto SCIOCCATI
L'emittente televisiva CNN pubblica la foto del ragazzo americano bendato e tantissimi americani commentano dicendo di non essere indignati auspicando una pena esemplare. Questo scrive la CNN sul suo account Twitter ufficiale
Americano bendato, gli Usa non ci facciano la morale: la loro polizia è brutale e razzista
I media a stelle e strisce stanno commentando scandalizzati la foto del giovane criminale “drogato di aspirina” che insieme ad un complice, ha accoltellato 11 volte un nostro carabiniere in servizio, uccidendolo. Non è accettabile che un uomo sottoposto a fermo di polizia venga bendato dai tutori dell’ordine e subisca un tale trattamento, ma non posso non constatare la strumentalizzazione attorno a questo episodio, che ha di fatto surclassato l’uccisione di una persona perbene, di un uomo dello Stato. Se nel caso in questione si è trattato di un piccolo gruppo di carabinieri che, sconvolti dall’omicidio del collega, errando, hanno messo una benda in faccia al presunto assassino, non riesco a capire l’ipocrisia dei giornali Usa. Gli Usa, un paese, in cui dal 2001 al 2009 è stato approvato l’uso sistematico della tortura sui prigionieri di guerra in tutte le carceri sia dentro che fuori dai confini nazionali.
Bendare un arrestato? Una pratica diffusa nelle polizie di tutta Europa e anche negli Usa
La foto dello “scandalo”, quella che ritrae Christian Natale Hjorth bendato, nella caserma di via in Selci, è stata prontamente censurata dai vertici dell’Arma dei Carabinieri. L’immagine ha anche sollevato il consueto vespaio sui social media e spinto molti esponenti politici a interventi di condanna. Eppure, il bendaggio di un individuo in stato di fermo o arrestato, il “blindfolding”, non è una pratica in “stile Guantanamo”, come evocato da alcuni media, anche internazionali, ma una prassi, seppure eccezionale, presente nei regolamenti di polizia di nazioni civilissime.
La mia infanzia a Capalbio prima che diventasse 'l'ostello radical chic' d'Italia
Cosa è cambiato da quando Capalbio era frequentata da campeggiatori della media borghesia a oggi? Qualche giorno fa, Matteo Salvini ha postato sui suoi social un video de Il Tempo in cui una “finta profuga” viene mandata a chiedere ospitalità e cibo ai bagnanti nelle spiagge di Capalbio, tra Chiarone e Capalbio Scalo, ottenendo solo qualche spicciolo e una pizzetta rossa. La morale del video è che “la roccaforte di intellettuali di sinistra, teatro di disquisizioni in villa o al ristorante” sia anche un posto dove l’ipocrisia regna sovrana e, se da una parte i radical chic in maglietta rossa predicano umanità e accoglienza, dall’altra sono indifferenti e infastiditi dalla presenza sulle loro spiagge di una profuga.
La spiaggia dei radical chic in trincea contro i profughi
Ne arriveranno 50 a settembre. E a Capalbio, capitale della sinistra buonista, vanno in piazza per dire no. Profughi? No, grazie. È sulle colline toscane di Capalbio, un tempo icona dell'élite radical chic, che la sinistra getta la maschera e rivela le sue contraddizioni. Alla notizia dell'arrivo di una cinquantina di profughi nelle villette disabitate del centro della cittadina maremmana, l'amministrazione di segno Pd ha iniziato una protesta contro la «scelta assurda» della prefettura grossetana: «Qui ci sono ville di gran lusso, è l'area più residenziale della perla della Maremma» ha spiegato al Corriere il sindaco Luigi Bellumori, guidando l'indignazione della località balneare tanto cara alla sinistra dell'accoglienza, aggiungendo che «come Capri e Portofino, Capalbio accoglie turismo culturale. Con 19mila ettari, bisognava metterli proprio lì?».
Il “comunista” Raimo choc: “Il carabiniere accoltellato? L’americano ha fatto solo una cazzata da 18enne”
Dopo Eliana Frontini ecco che, spulciando su Facebook, ci si imbatte in un altro cattivo maestro. Lo scrittore Christian Raimo, assessore alla cultura al III Municipio e docente di Storia e Filosofia in aspettativa, ha dato il “meglio” di sé con alcuni post alquanto discutibili sulla vicenda del carabiniere ucciso dai due ragazzi statunitensi. Raimo, che nel 2004 aveva firmato l’appello per la liberazione di Cesare Battisti e che pochi mesi fa aveva confermato il suo sostegno all’ex terrorista dei Pac, in questi giorni è riuscito a derubricare a “cazzata gigantesca” le 11 coltellate che sono state inferte al vice-brigabiere Mario Cerciello Rega.
Escort, le telefonate di Berlusconi: "Veline? Io ho Carfagna e Prestigiacomo"
Le telefonate con Tarantini agli atti del processo in corso a Bari per favoreggiamento della prostituzione. Il Cavaliere: "Niente veline in mie liste". L'invito a Belen. La cena con Rossella e Del Noce, le serate con due giornaliste. Ultimo giorno a Cesano Boscone nonostante la frattura al malleolo. Queste due bufale (incomprensibile) messe in giro veramente è una cosa pazzesca.., vedo su tutte le agenzie internazionali sono accusato di frequentare delle ragazze minori, roba da matti". Silvio Berlusconi parla al telefono con Gianpaolo Tarantini e commenta le notizie di stampa degli ultimi giorni che lo riguardano. E' il 3 maggio 2009. Il telefono di Tarantini è intercettato nell'ambito dell'indagine della Procura di Bari sulle escort portate a casa dell'ex premier.
Carfagna: “Le intercettazioni inesistenti tra me e Berlusconi? Costruite ad arte per distruggermi”
“Le intercettazioni hard tra me e Berlusconi non sono mai esistite: lo ha detto anche un tribunale che ha condannato per diffamazione Sabina Guzzanti che ha utilizzato quelle presunte telefonate per un attacco estremamente pesante”. La vice presidente della Camera Mara Carfagna, prima ospite di “Belve”, il ciclo di interviste condotte da Francesca Fagnani, in onda su Nove venerdì 31 maggio alle 22.45, torna con la memoria al 2012, quando il tribunale civile di Roma condannò l’autrice satirica a pagare 40mila euro all’allora ministra alle Pari opportunità per alcune frasi dette durante il “No Cav Day” del 2008. “Lei è stata veramente massacrata, tartassata in quel periodo storico – spiega la giornalista – A un certo punto uscirono pure delle intercettazioni assolutamente false divulgate da un giornale argentino (il Clarin, ndr) che non esistevano. Probabilmente la cabina di regia era qui in Italia”.
Dalla Boldrini ad Albinati: la sinistra vuole l’esclusiva dell’odio
Lo chiamano doppiopesismo, in realtà è qualcosa di ben più vile e pericoloso. È iniziato il processo a carico di Matteo Camiciottoli, sindaco di Pontinvrea, accusato di diffamazione dall’ex presidente della Camera Laura Boldrini per il post scritto su Facebook nel novembre 2017: riferendosi allo stupro della coppia polacca avvenuto sulle spiagge di Rimini e perpetrato da quattro africani, egli scrisse che “potremmo dargli gli arresti domiciliari a casa della Boldrini, magari le mette il sorriso”.
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