"Se c'è mancanza di coraggio, non vi preoccupate, me ne assumo io la responsabilità io davanti al Paese". Giuseppe Conte conclude la sua replica al Senato alle 20.20, con toni durissimi contro Matteo Salvini. Il premier ribadisce che si recherà al Quirinale per rassegnare le proprie dimissioni ma prima coglie la palla al balzo per attaccare il leader della Lega, che qualche minuti prima aveva ritirato a sorpresa la mozione di sfiducia contro il presidente della Repubblica. "Non possiamo, se amiamo le istituzioni e i cittadini, affidarci a espedienti, tatticismi, giravolte verbali che faccio fatica a comprendere. Io apprezzo la coerenza logica e la linearità d'azione", ha sottolineato. Il resto dell'intervento è una difesa d'ufficio delle misure sull'immigrazione, quasi ignorate nel primo discorso.
Emma Bonino inchioda Giuseppe Conte: "Il suo discorso è una estrema richiesta d'aiuto a Sergio Mattarella"
"Le dissociazioni postume del presidente del Consiglio Giuseppe Conte non sono convincenti" e "l'appello a Sergio Mattarella sembra all'insegna di una estrema richiesta di aiuto: 'Abbiamo combinato questo pasticcio e non sappiamo come uscirne'". E' durissima Emma Bonino di +Europa in aula a palazzo Madama. Dopo aver ascoltato il discorso del premier lo attacca sia sulla sua presa di distanza a scoppio ritardato rispetto a Matteo Salvini sia sull'appello al presidente della Repubblica in cui si palesano tutte le sue difficoltà.
Matteo Salvini ritira la mozione di sfiducia contro Giuseppe Conte. La Lega spariglia, trappola per Di Maio
La Lega ha deciso di ritirare la mozione di sfiducia contro il premier Giuseppe Conte, presentata e mai calendarizzata al Senato. Una formalità, visto che il presidente del Consiglio ha già annunciato che presenterà in serata le dimissioni al presidente della Repubblica Sergio Mattarella? Probabilmente qualcosa di più: un segnale di pace, un altro gesto distensivo nei confronti di Conte e dell'alleato di governo (ormai ex) M5s. Un gesto che non cambierà molto le carte sul tavolo della crisi, visto che dopo i discorsi in Senato dai banchi e dai social dei 5 Stelle è stato un bombardamento contro Matteo Salvini.
Giorgetti, Paragone e gli altri due. Nei minuti della crisi, il colloquio riservatissimo nella stanza chiusa
Chiamateli "gli ultimi giapponesi gialloverdi", gli irriducibili del governo Lega-M5s. Nei minuti convulsi della crisi, subito dopo che Giuseppe Conte aveva di fatto chiuso a ogni speranza di sopravvivenza dell'esecutivo, retroscenisti e inviati parlamentari non possono non notare quattro senatori, due grillini e due leghisti, appartarsi in una stanzetta nelle immediate vicinanze di Palazzo Madama. Zona off limits per i giornalisti, ma nomi e cognomi dei protagonisti avvistati non possono mentire: stavano ancora cercando di mediare e ricucire. Quei 4 erano gli "sherpa" dei rispettivi partiti: Gianluigi Paragone e Stefano Buffagni per i 5 Stelle, Giancarlo Giorgetti e Nicola Zicchieri per la Lega. Paragone è il più leghista del Movimento e il più fieramente anti-Pd della compagnia. Buffagni è l'unico della cerchia di Di Maio ad essersi esposto con quella frase, "Salvini ha il cellulare acceso? Lo usi e chiami", rimasta lettera morta.
Salvini, il terribile sospetto: "Mi viene da pensare che il M5s meditasse l'inciucio con il Pd da tempo"
Matteo Salvini non ha gradito le parole del presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra. Il grillino in Senato lo ha accostato alla 'ndrangheta per essersi votato alla Madonna. Un'accusa gravissima che si aggiunge al discorso-invettiva del premier Giuseppe Conte, il quale si è lasciato andare rinfacciando un anno di comportamenti - a parer suo - sbagliati del leader leghista. Il presidente del Consiglio ha criticato l'utilizzo dei simboli religiosi da parte del ministro, così come la sua linea politica sull'immigrazione. In tanti, come Salvini, si chiedono perché tutto questo non sia venuto fuori prima. "Mi viene il sospetto - fa sapere Salvini in un diretta Facebook - che qualcuno abbia meditato mesi fa le mosse per dar vita a un inciucio giallorosso. I rapporti tra Pd e M5s sono iniziati a farsi più serrati con la nomina (in pieno accordo) di Ursula Von der Leyen al Parlamento europeo".